domenica 31 gennaio 2010

ricordo di Nicola

Ricordo di Nicola Capria

Oggi anniversario della morte di Nicola Capria, eminente figura del socialismo siciliano, studioso di problemi sociali e meridionalista, più volte al Governo della Regione e dello Stato. E' stato ricordato dai socialisti siciliani con emozione ed affetto. Gli volevamo bene e siamo rimasti sconvolti per come ha vissuto l'ultima parte della sua esistenza, lontano dalla sua terra che tanto amava. Ricordo che non cessava mai di pensare, di elaborare nuove idee, di esplorare con nuove analisi la realtà. Sebbene sia stato sempre al potere non ha mai assunto la forma mentis del politico professionista che oggi è diventata assai comune nè dell'uomo che esaurisce nell'azione di governo tutta la propria azione. Leggeva sempre di tutto e non cessò mai di dibattere le questioni sociali specialmente legate al meridionalismo.
Sono stato segretario generale della CGIL siciliana ed avevo spesso motivo di incontrarlo per ragioni legate ai lavoratori. Era rispettoso dell'autonomia del sindacato e non si rivolse mai ai sindacalisti socialisti della CGIL in termini di fazione. Sapeva ascoltare le ragioni del lavoro e sentiva profondamente i bisogni delle masse popolari siciliane. Visse il periodo della grande illusione autonomistica della regione-imprenditrice che tuttavia non diede i risultati che avevamo sperato ma che tuttavia resta ancora una valida alternativa. Il metanodotto che da trenta anni fornisce energia all'Italia è stata in gran parte opera del gruppo dirigente siciliano del psi . Nicola Capria ha dato un fondamentale contributo alla sua realizzazione quando gli studi dell'EMS per le condotte sottomarine venivano giudicate avventuriste. . Il metanodotto è stata anche una grande opera di pace che avrebbe potuto dare fecondi sviluppi dell'area del mediterraneo se non fosse stato sottratto del tutto ad una
politica di cooperazione.
Mi piace ricordare che nè Nicola Capria nè il gruppo dirigente siciliano fummo mai craxiani pur non opponendoci alla sua politica. Le radici politiche di Capria ma anche di Lauricella e di quasi tutti noi
furono diverse da quelle che originarono il craxismo. Il socialismo di Capria non era corsaro, non
era rivolto alla conquista purchesia del potere, ma una politica per il lavoro e lo sviluppo del Mezzogiorno. Salvemini e Rodolfo Morandi ispirarono molte delle sue azioni.
Pietro Ancona
socialista e già segretario generale della CGIL siciliana

sabato 30 gennaio 2010

la Confindustria dentro il Congresso CGIL

La Confindustria dentro il Congresso CGIL

Da un pezzo notiamo assonanze tra la Marcegaglia ed Epifani. Mentre una parte della destra rappresentata da Sacconi vorrebbe la ghettizzazione della CGIL e la sua chiusura nel lazzaretto degli intoccabili, la Marcegaglia ha sempre tenuto aperto un filo di dialogo con questa naturalmente all'interno di una sua strategia di egemonia sociale e culturale. La CGIL annunzia uno sciopero prevalentemente rivolto a chiedere riduzioni fiscali. La Marcegaglia ed il giornale della Confindustria
contemporaneamente chiedono una riforma fiscale e, se da un lato lodano Tremonti per avere evitato all'Italia la fine della Grecia, dall'altra diventano sempre più insistenti nella richiesta di diminuire le tasse.Insomma un contrappunto che è anche gioco delle parti. Io giudico la linea della CGIL incentrata ad una difesa dei salari soltanto attraverso il fisco perdente e deleteria per i lavoratori. Intanto ogni diminuzione del fisco si riflette a breve o lunga scadenza sulla diminuzione del welfare. Meno entrate fiscali è meno scuola, meno sanità, meno pensioni e meno salario differito sotto forma di servizi. La diminuzione del fisco non conviene ai lavoratori ed al progetto di vita delle loro famiglie. Abbiamo visto il disastro provocato dall'abbattimento dell'Ici. Infatti meno tasse significano spiccioli in più per ogni singolo lavoratore e tanti miliardi in meno per lo Stato! Inoltre affrontare come tema centrale di uno sciopero soltanto la questione fiscale significa fare un favore alla Marcegaglia ed ai datori di lavoro: si lancia un messaggio che esclude aumenti salariali in busta paga. Insomma sembra che mentre la Cisl e l'Uil abbiano un asse con il governo e la destra italiana, esista un altro asse tra la Confindustria, il PD e la CGIL fondato su scelte del maggiore sindacato italiano basate su richieste di politiche economiche fotocopiate dall'ufficio studi della Confindustria e su un gioco di rimessa nella vicenda sociale. Insomma la Confindustria sta a monte e determina gli eventi, la CGIL si colloca a valle e cerca in qualche modo, dove proprio non può farne a meno, la riduzione del danno.
Scoppiato lo scandalo nella CGIL dei voti congressuali con l'autosospensione dei rappresentanti della mozione due dalla Commissione di Garanzia, trovandosi Epifani in evidenti difficoltà, la Confindustria interviene nel dibattito CGIL con un occhiuto articolo sarcastico del Sole 24 ore che attacca
Bertinotti e Cofferati per il loro sostegno alla mozione due. Li definisce "il gatto e la volpe" ed invita
Epifani a fare come Mourinho cioè a fottersene di coloro che dissentono ed andare avanti per la sua strada.
Una strada che conduce all'inferno dal momento che la CGIL per quanto abbia una dirigenza di destra è vissuta dai lavoratori italiani come il loro Sindacato per antonomasia essendo sempre vivo il suo grande mito costruito negli anni che vanno da Di Vittorio a Luciano Lama. La CGIL non può assistere ancora per molto tempo allo schiavismo imposto a cinque milioni di persone con la legge Biagi. Quanto tempo potranno resistere i giovani a 400 euro al mese? Fino a quando le loro famiglie continueranno ad aiutarli forse si rassegneranno a subire ma la corda è troppo tesa e rischia di spezzarsi.
La CGIL non può continuare ad assecondare le privatizzazioni che comportano aumenti delle bollette,
che falciano gran parte degli stipendi e dei salari. La CGIL non può assistere ancora per molto ai licenziamenti per aziende che chiudono senza altra ragione che la ricerca di profitti ancora più grassi.
Sebbene la mozione Due non sia coraggiosa nell'affrontare i "fondamentali" della sofferenza operaia
essa è già stata criminalizzata dalla Confindustria e dal corteo di pennivendoli che un giorno si e l'altro no predicano la "modernità" consistente nella supina accettazione di salari sempre più bassi, uno Stato sempre più asservito ai privati, tutto per la gloria di quanti ogni estate si radunano a gozzovigliare nel mare antistante Villa Certosa con le loro "barche" miliardarie attorno al capo della destra.
Le due mozioni che si contendono il Congresso della CGIL sono aldisotto della linea che potrebbe garantire la resurrezione dei lavoratori italiani dopo anni di sprofondamento nel pozzo delle sconfitte sociali. Bisognerebbe chiedere poche cose essenziali per il ribaltamento di uno stato di cose che sta riducendo venti milioni di persone e le loro famiglie alla povertà ed all'emarginazione: abolizione della legge Biagi, Salario Minimo Garantito, nazionalizzazione dei settori essenziali dell'economia, fine delle privatizzazioni ed abolizione immediata di tutte quelle che agiscono in regime di monopolio a cominciare dall'acqua.
Le due mozioni congressuali sono distanti anni luce da queste rivendicazioni.
Ma un Congresso, come uno sciopero, potrebbero dire cose diverse da quelle che si vorrebbe che
dicessero. Può sfuggire di mano alla nomenclatura e dare una possibilità di condizionamento agli iscritti, la straordinaria base dei tesserati alla CGIL fatta di persone motivate, colte, combattive, con un vivo senso di giustizia. Nei palazzi e nei salotti le alleanze trasversali ed anomale possono fare il successo di una persona o di un gruppo. Nella coscienza profonda del Paese sono altri i valori e le bandiere da fare agitare dal vento.
Mentre l'ombra nera della miseria si stende su intere regioni del paese, risuona come attualissimo Carlo Marx: " I lavoratori non hanno niente da perdere al di fuori delle loro catene" che tradotto significa: l'Italia ha bisogno di socialismo!| Vale la pena di lottare per questo se vogliamo evitare di degenerare in una massa di mendicanti che pietiscono un tozzo di pane!
pietroancona
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http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Italia/2009/commenti-sole-24-ore/30-gennaio-2010/cgil-congresso.shtml?uuid=cc0c3a26-0d74-11df-829e-8208089d2a32&DocRulesView=Libero

venerdì 29 gennaio 2010

no alla ridicola piattaforma dello sciopero del 12 marzo

la Confindustria si schiera con la Fiat per la chiusura di Termini! Oramai è chiaro il disegno di padroni di fare i loro porci comodi magari cercando all'estero nuovi schiavi. E' l'ora della risposta! Basta con il piagnucolio dei sindacati che chiedono soltanto sgravi fiscali. Quali salari dovranno alleggerire gli sgra...vi di Epifani se questi non ci saranno?

Un popolo non puà dipendere dagli interessi degli azionisti e dalla loro ricerca di nuovi schiavi all'estero. Rispondere alle privatizzazioni con le nazionalizzazioni! Chiedere la nazionalizzazione della Fiat, dell'Alcoa, L'azienda ha una funzione sociale e non deve servire per rovinare le famiglie italiane!!




la Confindustria si schiera con la Fiat per la chiusura di Termini! Oramai è chiaro il disegno di padroni di fare i loro porci comodi magari cercando all'estero nuovi schiavi. E' l'ora della risposta! Basta con il piagnucolio dei sindacati che chiedono soltanto sgravi fiscali. Quali salari dovranno alleggerire gli sgravi di Epifani se questi non ci saranno?

La Marcegaglia è d'accordo sulle richieste dello sciopero di Epifani!



ridurre gli stipendi dei consiglieri regionali Sardegna Sicilia del cinquanta per cento e destinare il ricavato al sostegno dei lavoratori di Termini, del Sulcis, dell'Aloa, dei professori ed insegnanti licenziati dalla Gelmini. Creare un fondo per il sostegno delle famiglie come la famiglia Bellavia di Favara. La crisi non deve solo essere pagata dai lavoratori e dalla povera gente!

Non si possono mandare al macero le famiglie dei lavoratori che vengono licenziati e mantenere gli enormi privilegi da nababbi dei politici della regione! Possono benissimo fare i nababbi con diecimila euro al mese al posto dei ventimila attuali. Per capire la crisi tutti dobbiamo farcene carico senza demagogia

giovedì 28 gennaio 2010

suicidio della CGIL

Il suicidio della CGIL
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Con un anticipo di oltre quaranta giorni che contrasta con la drammatica
condizione dei lavoratori italiani che precipita di giorno in giorno per una
crisi dell'occupazione e dei salari causata in gran parte da scelte di
convenienza e di lucro del padronato, la CGIL annunzia uno sciopero generale
per il dodici marzo prossimo. C'è un passo avanti rispetto la manifestazione
del 15 novembre scorso perché si farà in un giorno lavorativo e quindi
assumerà un significato che si collocherà dentro il rapporto di lavoro e non
soltanto verso il governo ma si tratterà ancora una volta di una battaglia
perduta in partenza dal momento che le rivendicazioni sono limitate, cannoni
caricati a salve o al massimo con proiettili di gomma destinati a rimbalzare
e non produrre che il grande fracasso massmediatico dei pennivendoli di
regime che si scateneranno per sbranare la CGIL che si "isola"
da Cisl ed Uil, è vetero-sindacalista, incapace di capire la "modernità"
etcc...etc... In sostanza, lo
sciopero deluderà le attese della classe lavoratrice senza peraltro essere
gradito dal padronato, dalla destra e dal suo governo. Tutti faranno a gara
per mettere alla gogna il grande e comunque temuto sindacato italiano perchè
rompe l'omertà (Sacconi la chiama complicità) delle forze politiche e
sindacali tutte protese ad ingraziarsi i favori della Confindustria.

Lo sciopero si farà su tre punti che riguardano la politica economica, il
fisco, l'immigrazione. Sul primo punto non si dice niente sulle
privatizzazioni diventate davvero pericolose non soltanto per
l'aumento delle bollette, dal momento che la maggior parte di esse si fanno
in regime di monopolio, ma anche perché sostituiscono pezzi sempre più
estesi di occupazione pubblica con quella privata e sottopagata. Non è raro
incontrare negli ospedali infermieri collocati da cooperative fasulle e
agenzie pagati al quaranta per cento in meno dei loro colleghi.
Il secondo punto riguarda il fisco. La CGIL chiede delle cose che sono
sicuramente sacrosante ma che calate nell'inferno dei salari di oggi avranno
effetti insignificanti, meschini. Dare qualche euro in più attraverso la
manovra fiscale non cambierà se non impercettibilmente la busta paga. Oggi
la questione più importante è
l'aumento dei salari e sopratutto la richiesta di una legge per il Salario
Minimo Garantito per tagliare l'artiglio a quanti se la cavano con due o
tre euro l'ora specialmente per i biagizzati e gli immigrati.
Avere una legge sul Salario Minimo Garantito significherebbe mettere un
fondo al pozzo senza fine
di salari sempre più bassi. Abbiamo un padronato che non si vergogna di
offrire soltanto cento euro al mese ad un giovane laureato. Il SMG non
dovrebbe essere inferiore a sette euro l'ora. Diventerebbe strumento di
liberazione e di unificazione di lavoratori bianchi e neri ed avrebbe
l'effetto di spingere verso l'alto i salari oggi inferiori del quaranta per
cento a quelli inglesi, tedeschi o francesi.
A chi gli chiedeva cosa ne pensasse della scala mobile Epifani ha risposto
di esserne stato sempre nemico fin dal 1984 e dichiarandosi offeso con la
Marcegaglia che gli attribuiva una qualche tentazione al suo ripristino.
Bisogna invece recuperare la scala mobile.
Mentre l'inverno più gelido è caduto sui lavoratori che si buscano la
bronco-polmonite a fare gli stiliti del ventunesimo secolo sulle torri delle
aziende, alla Camera Cazzola, Ichino ed altri lavorano silenziosamente per
distruggere il poco che resta di protezione dalla schiavizzazione. A
differenza di tutti i cittadini italiani i lavoratori non avranno più
diritto ad un giudice ma si dovranno accontentare di un arbitro che deciderà
della loro vita una sola volta. Il giudice non potrà intervenire anche se lo
volesse. L'art.18 e lo Statuto dei Diritti vengono aggirati da esperti
manipolatori del diritto che hanno studiato tutte le astuzie immaginabili
per mettere i dipendenti nelle mani dei loro datori di lavoro.
Perchè la CGIL abitata da milioni di lavoratrici e lavoratori tra i più
coscienti, colti, informati e combattivi che abbia il Paese, si comporta in
questo modo? Perchè dopo avere assistito inerte a tutte le devastazioni del
liberismo selvaggio, scroccone, parassitario giocando di rimessa e fingendo
di accettare per "modernità" cose più vecchie del cucco, offre ai lavoratori
una lotta che è un gioco di
specchi che non produrrà niente? Qui il discorso riguarda la sua natura ed
il suo prossimo Congresso. La CGIL è "controllata" da una struttura di
"funzionari" la cui legittimazione non viene dagli iscritti ma
dall'appartenza al PD. Ai miei tempi c'erano due o tre correnti politiche ai
quali si riferivano i quadri dell'apparato che si richiamavano ai socialisti
ed ai comunisti. Oggi il riferimento è
quasi assoluto al PD il quale concede alla CGIL soltanto lo spazio "fisco"
sul quale operare. Soltanto un cambiamento di linea del PD potrà restituire
ai lavoratori la loro forte e gloriosa CGIL
che ha segnato con le sue lotte e le sue conquiste la storia civile
dell'Italia. Ma questo non sarà possibile. Il PD è con Ichino che vorrebbe
abolire gli ammortizzatori sociali perchè impoltroniscono i disoccupati. Il
PD è con Letta che ha imposto, seppur attraverso i contratti di categoria,
l'accordo separato sulla riforma della contrattazione.
Detto tutto questo, mi auguro che lo sciopero abbia comunque un grande
successo e sia capace di suscitare grandi emozioni nell'opinione pubblica. A
volte una cosa partita male può essere trasformata dalla gente e dai suoi
bisogni e diventare altra, utile a fare riflettere e a fare cambiare il
corso della storia.
Pietro Ancona
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Il Papato dei Potenti

22 dicembre 2009
IL PAPA DIMENTICA ROMERO di Maurizio Chierici
Dietro la polemica che accompagna la beatificazione di Pio
XII, fa malinconia un nome che non c’è. Le “virtù eroiche” del
vescovo Romero ucciso in Salvador vengono rimandate a chissà
quando. Dava voce alla speranza delle folle contadine schiacciate
dalla dottrina Reagan, America centrale nelle mani di squadre
della morte finanziate da Washington: 6 milioni di dollari al giorno
ai militari del Salvador. Romero non invita alla disobbedienza. Mai
un’omelia di rancore. Nell’ultima predica supplica i “ f ra t e l l i
militari” ad abbassare le armi. “Parlate lo stesso dialetto; siete
cresciuti negli stessi villaggi...”. Provocazione rivoluzionaria per le
grandi famiglie riunite nella bandiera dell’anticomunismo in difesa
del “mondo libero”. In realtà affari con multinazionali infastidite
dalla chiesa dei poveri e da un primate che rifiutava le tovaglie
ricamate. Anche il Vaticano guardava con sospetto. Giovanni Paolo
II stava strappando la Polonia dai gironi di Mosca. E la piccola
America dei fedeli e dei preti perseguitati non veniva considerata
Chiesa del Silenzio come la Chiesa di Varsavia. In Salvador uccisi
quattro giovani sacerdoti consacrati da Romero, il suo confessore e
amico, sindacalisti e militanti nell’associazionismo cristiano. E la
dinamite sbriciola la redazione di Orientacion, radio e giornale
della Chiesa. Romero implora il Vaticano, ma Giovanni Paolo II non
vede le sue lettere: c’è chi le filtra per non disturbare la strategia
che attorno a Wall Street finanziava Solidarnosc e l’opposizione
polacca. Quando il Papa lo riceve, allontana con mano brusca le
carte che raccolgono le sofferenze di un popolo. Parlano pochi
minuti. “Un minuto per la fotografia” è l’impressione che Romero
confessa al giornalista al quale affida la solitudine. “Finalmente” lo
uccidono sull’altare, 24 marzo 1980. E il massacro continua:
missionari protestanti, sei gesuiti dell’università e Marianela
Garcia Villas: raccoglieva i corpi dei desaparecidos e denunciava la
sperimentazione Usa di bombe al fosforo sulle proteste contadine.
Nel primo viaggio in Salvador, Papa Wojtyla visita la tomba del
vescovo definendolo “zelante pastore”, insomma, curato di una
campagna tranquilla. Adesso il Romero escluso dal decreto di
Benedetto XVI. Beato degli oppressi sarà Jerzy Popieluszko,
sacerdote che marciava con gli operai in sciopero nella Polonia
della dittatura rossa. Continua a marciare dopo la legge
marziale dell’81. Assassinato nel 1984, unica vittima
della Chiesa del silenzio polacca. Adesso, Romero
messo da parte dalla diffidenza vaticana a proposito
della teologia della liberazione svuotata negli anni di
Wojtyla. Solo alla fine ne riconosce l’importanza. Jesus
Delgado, segretario di Romero e vicario della diocesi di
San Salvador, ricorda che “tre o quattro cardinali si
oppongono alla beatificazione” interpretata come
approvazione romana ai sacerdoti che si mescolavano
alle speranze della gente, approvazione che infastidisce
la destra cattolica. Non importa se mezzo milione di
fedeli hanno firmato un appello, se 104 nazioni
sollecitano il Papa. Le chiese anglicana e protestante lo
commemorano come martire. Ma l’impegno di Vicenzo
Paglia, postulante e vescovo di Terni, non scuote chi è
impaurito dal sacrificio di Romero. Povero prete
lontano dai labirinti delle gerarchie.

tratto da:"Il fatto quotidiano" del 22/12/09

mercoledì 27 gennaio 2010

Il giorno della memoria e l'ipocrisia

LA GIORNATA DELLA MEMORIA E L'IPOCRISIA

C'è chi pensa che la memoria sia negativa perchè tiene sempre vive ed aperte le ferite, divide i popoli
coltiva l'odio per i torti subiti e quindi sarebbe meglio l'oblio, vivere nel presente guardando al futuro e rimuovere gli elementi di divisione e di rancore. Altri pensano che la memoria sia giusta, per non dimenticare il martirio di quanti furono ingiustamente perseguitati ed uccisi, per insegnare all'umanità a non ricadere nella barbarie del crimine. L'Italia si è data una legge per ricordare l'Olocausto e l'orrore
del nazifascismo e dei suoi campi di sterminio. In effetti il ricordo dei crimini di Hitler non è mai diventato condanna o rifiuto del popolo tedesco ma della terribile ideologia che originò gli orrori più
spaventosi del novecento.Quindi ricordare non vuol dire odiare indiscriminatamente coloro dai quali è venuto il male, la tragedia per milioni di esseri umani ma liberarci e distanziarci dalle ideologie che
discriminano per pregiudizi razzisti o odio politico e sociale.
Ma, nonostante sia viva la memoria dell'OLocausto ed è diventato addirittura reato penale negarlo in alcuni paesi europei e qualcuno sia finito in carcere come "negazionista", pare che non abbiamo imparato niente dagli errori e dai delitti dei nostri predecessori. Israele, Nazione nata per dare un focolare agli ebrei dopo lo sterminio di gran parte di loro, tiene in oppressione la popolazione palestinese rinchiusa da un grande muro che, d'accordo con gli Egiziani, sta rendendo ancora più impenetrabile. Un milione e mezzo di esseri umani sono privati della libertà, del pane,di quanto serve alla vita e impazziscono in una striscia di terra dove sono stipati attorno alle rovine della loro città rasa al suolo ed avvelenata dall'uranio e dal fosforo che fanno nascere bambini deformi, mostriciattoli inguardabili. Ricordare i crimini di Hitler e di Mussolini e ripeterli contro bambini inermi
tenuti prigionieri, donne e uomini incarcerati e spesso torturati soltanto perchè legittimamente resistenti al nemico occupante, è schizzofrenico. Non fare agli altri quanto non vorresti fosse stato mai fatto a te!
Da anni l'Occidente è sottoposto ad una propaganda non diversa da quella nazista degli anni trenta. Allora erano gli ebrei ed i bolscevichi le bestie nere additate al ludibrio ed all'odio degli europei, il pericolo da esercizzare con la violenza e l'odio. Oggi, la bestia nera è l'Islam ed una martellante propaganda di gran parte dei massmedia diffonde paure e spaventi tra la popolazione. Si scrive e si sostiene che l'Islam ha un programma di conquista del mondo, per la costruzione di un sultanato universale e la nostra sottomissione ad esso. Si favoleggia di un conflitto di civiltà che metterebbe in pericolo il nostro futuro e si occupano militarmente nazioni come l'Afghanistan, l'Iraq violentando le loro culture ed il loro assetto giuridico. Tornano le leggi razziali a suo tempo volute da Mussolini contro gli ebrei ed ora dall'Italia democratica contro i migranti che se perdono il lavoro e diventano "clandestini" vengono imprigionati e le loro famiglie smembrate! Dietro la spinta espansionistica verso oriente degli USA vengono indurite le leggi sulla sicurezza e vengono progressivamente smantellate le garanzie ed i diritti. La Patriot Act ha fatto scuola. Gli inglesi si accingono a controllare le città con aerei drone. Gli aeroporti sono diventati luoghi nevrastenici in cui si rischia di essere arrestati o uccisi per un gesto sospetto. Gli americani, nella indifferenza del mondo, tengono prigionieri e torturano persone definite "terroriste" e che magari sono soltanto patrioti o persone del tutto innocenti. Possiamo definire Guantanamo un lagers hitleriano? Quale diritto hanno gli Usa di privare i prigionieri di Guantanamo dei loro diritti e di escluderli da ogni contatto con le loro famiglie e con il mondo?
Gli zingari che ieri venivano inceneriti ad Auschwitz hanno avuto la loro shoah ( porrajmos)
che travolse agli inferi almeno centinaia di migliaia di loro oggi sono soggetti a linciaggio
ed alla intensa propaganda razzista anche di tanti amministratori pubblici. I loro campi vengono demoliti con le ruspe da squadre di militari che non hanno riguardi neanche per i quaderni di scuola dei bambini; se incappano in un reato vengono condannati al massimo della pena o addirittura senza colpa come accade alla ragazza di Ponticelli.
A che serve la giornata della memoria se la sua celebrazione non induce a criticare e condannare il razzismo e la guerra? Rosarno ha avuto le caratteristiche di un pogrom anche se non ci sono stati gravissimi fatti di sangue. C'è una contraddizione tra la Memoria dell'Olocausto e le leggi recentemente varate dal Parlamento italiano e la predicazione dell'odio contro vittime dipinte come potenziali aggressori.
Pietro Ancona
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martedì 26 gennaio 2010

politici

Praga, Gerusalemme, Pechino, New York, Parigi, Messico, Santo Domingo: sette dei viaggi compiuti dal Sindaco di Bologna di cui abbiamo notizia perchè oggetto di verifiche da parte della magistratura.
Pare di capire che ci siano altri viaggi. E' veramente stupefacente la quantità e la destinazione dei viaggi di un solo amministratore. Naturalmente sono stati tutti spesati con dovizia di rimborso-spese essendo il politico globe trotter equiparato nei regolamenti alle cariche più alte. Tra questi viaggi risulta come destinazione anche Cancun in Messico, una rinomata località turistica affacciata sul Mare dei Caraibi. Che cosa ci poteva essere di tanto importante per la Regione Emilia-Romagna in un posto come questo?
L'Italia ha qualcosa come seimila comuni, centoventi province, venti regioni e tanti tanti enti pubblici o semipubblici di vario genere. Gli amministratori sono tutti stipendiati ed hanno autonomia di gestione della quale profittano fino in fondo. Guai a mettere in discussione la sacra "autonomia" degli enti locali. La grande tradizione municipalistica italiana che risale alle Repubbliche Marinare, ai Comuni ed alle Signorie e pronta ad insorgere subito. Ne vedremo di belle quanto entreranno a regime
le norme del federalismo fiscale. Se si facesse il conto dei viaggi compiuti dagli amministratori e dai loro seguiti raggiungeremmo cifre astronomiche, milioni di chilometri. Tutti viaggiano per i motivi più vari. Gli amministratori dell'Amia di Palermo si recavano dieci volte l'anno negli Emirati Arabi. Se si fruga senza troppa disattenzione tra le note spese presentate e riscosse dalla folla di voraci gaudenti
per i quali non c'è mai crisi troveremmo stranezze incredibili. Naturalmente, è tutto legale. Quando c'è l'illegalità un opportuna leggina ci mette rimedio come quella che consente all'aereo di Stato a disposizione del Presidente del Consiglio di imbarcare ospiti personali.
Il ceto politico, i suoi parenti e famuli è diventato una enorme sanguisuga che riesce a drenare denaro e privilegi da una pubblica amministrazione tenuta in vita da tasse sempre più gravose da sopportare.
Il suo costo è diventato troppo oneroso ed il suo distacco dalla gente sempre più incolmabile. L'omertà al suo interno è di stampo camorristico. Bertinotti giustificò l'uso dell'aereo di Stato fatto da Mastella per assistere ad una partita di calcio con il figlio ed altri amici un "risparmio" e non si limitava
da Presidente della Camera nelle trasferte . Brunetta gratta dallo Stato centinaia di migliaia di euro l'anno che somma al suo stipendio di professore e chiede ai pensionati di rinunziare ad una parte delle loro misere pensioni per i giovani precari pagati a due euro l'ora da imprenditori che imboscano all'estero centinaia di miliardi di euro.
Una situazione del genere non può durare a lungo. La corda è troppo tesa ma l'attenzione dei politici
è concentrata sul rebus di come evitare a Berlusconi i processi o nelle alleanze di Palazzo con l'UDC piuttosto che con l'odiata sinistra proletaria.
Cresce tra la gente insoddisfazione ed anche odio. Non è detto che la sopportazione di squilibri e diseguaglianze possa durare in eterno. L'Italia ha ancora una cultura della coesione e dei diritti. Non è l'America che si rassegna a vivere in tenda e sopporta il peso della prepotenza dei banchieri facendosi abbindolare dalle bugie di Obama. L'Italia non sopporterà a lungo il calvario di cinque milioni di biagizzati a 400 euro al mese. Milioni di lavoratori sono sottomessi ad un logoramento dei loro salari
a cui la CGIL vorrebbe mettere una pezza con qualche beneficio fiscale non rendendosi conto di diventare complice di una situazione insopportabile. La crisi è certamente oggettiva ma la sua gestione è odiosamente di parte. Prima o poi tutta la sofferenza sociale oggi compressa verrà alla luce!
Pietro Ancona
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lunedì 25 gennaio 2010

una risposta sbagliata di ferrero

Cara Liberazione,

la risposta che dà Ferrero alla provocazione di Brunetta, degno pellegrino di Hammamet,
è sbagliata. La questione dei bassi salari dei giovani precari italiani non si risolve per via fiscale ma stabilendo una garanzia di legge, erga omnes. I giovani precari italiani oggi sono pagati due o tre euro l'ora. Basterebbe fissare il Salario Minimo Garantito ad almeno 7 euro l'ora. Non capisco perchè i bassi salari delle aziende siano diventati tabù intoccabili per la CGIL e per la sinistra italiana!
E' sconcertante che la gente che porta all'estero centinaia di miliardi di euro sottratti ai salari debba vedersi favorire dallo Stato per mantenerli bassi!
Pietro Ancona

http://www.leggo.it/articolo.php?id=43301&sez=CRONACA&ctc=20

sconfitto il teorema D'Alema

SCONFITTO IL TEOREMA D'ALEMA

Il dirigente politico più scafato del PD ha enunziato a suo tempo il teorema: l'Italia ha una maggioranza di destra, per vincere la sinistra deve diventare destra. Questo teorema è stato incarnato dal PD che non è l'erede dell'Ulivo. L'ultima disastrosa esperienza del governo Prodi era già in fase di profonda degenerazione e negazione del programma dell'Ulivo basato sulla coesione sociale. Il PD ha fatta sua la linea liberista della destra italiana a cominciare dalla sua espressione più feroce: la legge Biagi. D'Alema è stato tra i primi a teorizzare la fine del posto fisso (mi consento una battuta politicamente scorretta: non per i suoi figli) e la privatizzazione dei servizi comunali. Queste due scelte costituiscono una strizzata d'occhio ai ceti privilegiati della società italiana ma non hanno sortito l'effetto di spostarne ragguardevoli quote verso il PD. Cartucce sparate a vuoto Ha anche voluto rassicurare l'area dottrinaria più intransigente del governo USA prestandosi al bombardamento di Belgrado, un vero e proprio crimine che ha ripetuto una aggressione che la Serbia aveva subito dal nazifascismo. Nel gruppo parlamentare del PD sono presenti deputati e senatori impegnati a lavorare, spesso nell'ombra ma con la complicità del silenzio della CGIL rigidamente controllata da una burocrazia quasi tutta pd, per demolire quanto resta di una legislazione dei diritti dei lavoratori. Si toglie ai dipendenti la possibilità che hanno tutti i cittadini di avere un giudice a cui ricorrere e si toglie al giudice la possibilità di intervenire nel contenzioso del lavoro! Pietro Ichino, in una recente lettera al Corriere della Sera, sconsigliava una politica di ammortizzatori sociali perchè impoltronirebbe i disoccupati e non li indurrebbe a cercarsi un'altra occupazione. La Confindustria è presente in modo significativo tra i parlamentari pd ed è la vera artefice della sua politica economica e sociale.
IL teorema D'Alema, fatto proprio da Bersani che, dopo la sconfitta pugliese dice: "la linea non cambia" vuole rovesciare del tutto e definitivamente le alleanze, isolare la sinistra, stare al centro (che in Italia è destra) con l'UDC di Casini, partito del genero di Caltagirone e di quella parte della vecchia DC che, con Cuffaro e tantissimi altri, nel Mezzogiorno d'Italia non ha ritenuto di stare con la Margherita. D'Alema rinnova il patto delle triglie fatto anni orsono con Buttiglione. Che l'UDC usi due forni e si allei anche con il PDL non lo turba minimamente dal momento che è proprio con il PDL che vuole riformare la Costituzione e realizzare il presidenzialismo e la definitiva passivizzazione dello elettorato che dovrebbe limitarsi a dire si o no.
Ma questa linea che ha la sua rotta strategica a destra crea contorcimenti, scontenti, sconquassi da parte di quello elettorato già comunista o cattolicoo che trova ancora una sua debole eco in Rosy Bindi la quale stamane ha mormorato: forse era meglio se avessimo scelto Niki Vendola sin dall'inizio. Non è possibile saldare a destra un elettorato vittima della destra, mettere insieme il ragazzo che guadagna quattrocento euro al mese ed il suo datore di lavoro-sfruttatore. La borghesia italiana è una delle più ingorde e barbare del mondo. Oramai ha la certezza di avere due grandi partiti che controllano il Parlamento e che faranno tutto quello che le aggrada. E' insaziabile come abbiamo visto dallo scandaloso trattamento inflitto ai lavoratori africani di Rosarno o agli schiavi cinesi di Prato che lavorano per conto di grossi esportatori che li hanno sostituito ai lavoratori toscani. Ogni giorno il suo governo attacca il welfare e provoca la gente con le ingiurie di Brunetta. Il PD è parte integrante della nomenclatura, della oligarchia di una casta che difende a spada tratta, protetta dal Quirinale, i suoi privilegi. Il sistema della creazione di un ceto politico permamente a tutti i livelli ben retribuito, ben pasciuto, è andato assai avanti ed ogni tanto mostra qualcuno dei suoi modi di vivere al disopra delle righe ma rigorosamente a spese dei contribuenti come si evince dallo scandalo di Bologna in cui vengono raccontati sette o otto viaggi intercontinentali di Del Bono del tutto inutili per le finalità istituzionali dell'ente che si rappresenta. Viaggi ai quali non solo si invitano le amanti o i familiari ma, come abbiamo visto con
la Lonardo qualche tempo fa, anche centinaia di persone che vanno a fare shopping nella Quinta Strada.
La vittoria di Niki Vendola è la vittoria di una esperienza di governo regionale in cui le risorse sono state spese per migliorare davvero la qualità della vita della gente e per aiutare i più deboli. La Puglia è una Regione che sfugge al controllo dei comitati di affari anche se è stata in pericolo di esserne inquinata e travolta. Nichi Vendola, vincendo, ha sconfitto anche se stesso. La scelta di scindere Rifondazione Comunista a favore di un assemblement coi socialisti e con l'ala mussiana del PCI si è dimostrata sbagliata e contraddittoria rispetto il suo stesso afflato sociale e popolare. L'appoggio ricevuto da Ferrero è un dato positivo di ricomposizione e riaggregazione dopo anni di sgretolamento. Può riprendere forza la sinistra italiana che ha una immensa forza oggi dispersa. Il PD che, d'accordo con Berlusconi, ha espulso dal Parlamento i verdi ed i comunisti
perderà il suo elettorato di sinistra che prima o poi si accorgerà di stare in un posto sbagliato.Vendola
ha vinto facendo uso strategico delle risorse per lo sviluppo della sua Regione ed il benessere dei suoi abitanti.
Ha mostrato che c'è spazio e grandissima domanda per una politica realmente di sinistra, innovativa, capace di lievitare la crescita.
In fondo D'Alema è coerente con la linea rinunziataria proclamata da Berlinguer già nel 1973 con la teoria del compromesso storico e della Nato ombrello riparatore dall'URSS e con la disgraziata scelta della Bolognina di Occhetto che ha rinunziato al comunismo ma anche al socialismo socialdemocratico per approdare direttamente all'amerikano partito democratico del tutto estraneo alla cultura del grande appassionato popolo della sinistra italiana.
Bisogna che Vendola vinca le elezioni in Puglia per fare dilagare un nuovo progetto politico. Sono certo che molti di coloro che hanno proposto Boccia non lo voteranno e si sentono più vicini al candidato della destra. Ma quando il popolo di sinistra ha fiducia nella sua dirigenza e nelle sue idee in Italia è capace di fare grandi cose. Una volta ha persino sorpassato la DC!!
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it

domenica 24 gennaio 2010

PORRAIMOS: OLOCAUSTO ZINGARO

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Memorie



PORRAJMOS: L'OLOCAUSTO ZINGARO

Un caso dimenticato: "I bastardi della Renania";

Le prime persecuzioni in Europa

L'ascesa di Hitler, le premesse del "Porrajmos";

La soluzione finale per gli zingari

Testimonianze

Bibliografia

In rete

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PORRAJMOS: L'OLOCAUSTO ZINGARO
Hanno calpestato il violino zigano

Hanno calpestato il violino zigano
ne è rimasta della cenere zigana
il fuoco il fumo
si innalzano al cielo

Hanno portato via i zigani
hanno separato i bambini dalle madri
le donne dagli uomini
hanno portato via i zigani

Jasenovac è piena di zigani
legati da pilastri di cemento
da pesanti catene ai piedi e alle mani
nel fango fino alle ginocchia

A Jasenovac è rimasto
il loro ossame per raccontare, eventi disumani
l'alba serena si è alzata
il sole ha riscaldato dei zigani.

"C'era una volta un maledetto re che
voleva far scomparire tutti i Rom perché
avevano un'aria diversa dalla sua e da
quella dei suoi parenti, perché parlavano
in modo che lui non capiva, e questo lo
faceva arrabbiare. Tuttavia, sterminare
degli innocenti all'epoca moderna non è
una bella cosa. Così il re decise di fare
dei Rom dei criminali. Sterminare i
criminali è tutt'altra cosa.. Quel re
si chiamava Hitler-Tuka...";

Non esistono documenti, scritti o libri nella tradizione Rom, tutto è affidato alla trasmissione orale. Anche il ricordo del "PORRAJMOS";1, l'olocausto zingaro che dal '40 al '45 fece più di 500.000 vittime, si allunga e si stempera in poesie e ballate come queste. Se lo sterminio nazista di disabili omosessuali assurge solo adesso a dignità storica, lo stesso non può dirsi per l'eccidio degli zingari, salvo rare eccezioni. Tra le carte di Norimberga, un solo paragrafo è dedicato al genocidio di Rom e Sinti2 , eppure gli zingari furono, non meno dei disabili, le cavie designate della follia nazista.

1In lingua Romani, distruzione, catastrofe, disastro. Un termine molto più deflagrante del più ieratico ed edulcorato "Olocausto";, un'equivalenza semantica si trova solo nell'ebraico "Shoah";.

2Sono le due grandi etnie nomadi derivate dal ceppo balcanico, di più antica origine indoeuropea. I loro nomi derivano soprattutto da differenze linguistiche. I Rom sono di lingua Romani, mentre i Sinti derivano nome e lingua dalla religione Sind, un antichissimo credo panteistico praticato soprattutto in India. Fin dall'XI secolo, pressati dall'avanzata degli Unni bianchi, Rom e Sinti lasciarono la penisola balcanica e si spinsero a più riprese in Europa, nei Paesi del Mediterraneo, eppoi anche in America.


Un caso dimenticato: "I bastardi della Renania";
I disabili furono le prime, ma non le uniche vittime del genocidio nazista. L'omicidio di massa dei disabili fu seguito a breve scadenza dall'omicidio degli Ebrei e degli Zingari. L'ideologia nazista a la scelta della razza da sempre avevano preso di mira non solo la parte degenerata del "volk";3, ossia i disabili, ma anche i membri delle cosiddette razze aliene o inferiori. Questi "estranei";, in Germania e in Europa centrale, erano gli Ebrei e gli Zingari.
I membri di queste due minoranze, pur risiedendo nell'Europa centrale da secoli e pur avendo ottenuto regolare cittadinanza, continuavano a venire considerati come appartenenti a razze aliene dalla maggior parte della popolazione. E' vero anche che nell'Europa centrale risiedevano individui di origine non caucasica, ma era un numero modesto, avevano di solito cittadinanza straniera e ricadevano sotto la protezione di governi esteri. Tra di loro vi era, tuttavia, un piccolo gruppo che non poteva contare su questo tipo di protezione. Si trattava in genere dei figli di madre tedesca e di soldati coloniali degli eserciti alleati che avevano occupato la Renania dopo la Prima Guerra Mondiale. I tedeschi non vedevano di buon occhio questi padri in quanto cosiddetti uomini di colore. Per lo più si trattava di soldati francesi del Nordafrica, in particolar modo del Marocco, ma alcuni erano asiatici e almeno uno era afroamericano.
Impiegando la terminologia che Eugene Fisher aveva introdotto per primo, i tedeschi chiamavano questi bambini "Bastardi della Renania";. Già prima che i nazisti giungessero al potere, i politici e gli scienziati tedeschi deploravano la presenza di ibridi di colore nella loro terra. La pressione tedesca venne intensificata dal fatto che questi bambini erano figli degli odiati occupatori. Dopo la nomina di Adolf Hitler a cancelliere, il governo tedesco decise di prendere provvedimenti nei confronti di questi bambini, la cui età andava dai quattro ai quindici anni. Per prima cosa il regime ritenne necessario definire e contare i membri del gruppo. Come abbiamo visto, la definizione era necessaria per assicurare ai membri della maggioranza di non essere minacciati dall'ostracismo. Inizialmente le cifre vennero gonfiate e alla fine gli esperti raccolsero dati solo su 385 bambini. Dopo ciò, il ministro prussiano degli interni commissionò a uno scienziato della razza il compito di esaminare e quantificare i bambini.
Nell'estate del 1933 Wolfgang Habel, capo del dipartimento della razza dell'istituto antropologico Kaiser Whilem di Eugene Fisher, intraprese un'indagine scientifica. Habel lavoro su un campione ridotto, ma le sue conclusione furono definitive e ostili. Nelle sue misurazioni cercò di provare l'inferiorità dei bambini, catalogando come deformità fisica i piedi piatti e come aberrazione psicologica la preferenza per la vita di strada.
Per risolvere il problema della minoranza di colore tedesca, l'RMDL4 riunì gruppi di esperti che, tra il 1933 e il 1937, si incontrarono regolarmente partecipando a commissioni e sottocommissioni. Il gruppo di esperti comprendeva molti dei burocrati e degli scienziati che avevano partecipato alla stesura del progetto T4.
Costoro presero in considerazione le varie possibili soluzioni per liberare la Germania da questo elemento indesiderato e giunsero al consenso della sterilizzazione. Temendo reazioni all'estero ne posposero l'attuazione fino al 1937. La legge di sterilizzazione non permetteva, tuttavia, di sterilizzare bambini il cui unico difetto ereditario era costituito dalla razza. Il Ministero decise di sterilizzarli segretamente, infrangendo la legge. Come abbiamo visto questo non è l'unico caso in cui il regime agì in segreto e perseguì illegalmente i propri fini ideologici.
La Gestapo ebbe l'incarico di raccogliere i bambini. Questi ultimi vennero prima esaminati dalla commissione di scienziati della razza per determinare se effettivamente appartenessero a una razza aliena e vennero poi sterilizzati negli ospedali locali. Si giunse così all'esclusione di questa piccola minoranza di colore senza suscitare troppa attenzione e senza bisogno di leggi ad hoc. Ma il risultato fu definitivo. I bambini di colore erano stati ostracizzati dalla comunità nazionale tedesca con gli strumenti più radicali a disposizione nel 1937.

Il regime nazista passò con la stesa rapidità nel corso degli anni ad ostracizzare ebrei e zingari dalla comunità nazionale, mentre gli scienziati della razza lavorarono per definire e immatricolare i membri dei due gruppi esclusi. Sulle politiche attuate dai Nazisti per colpire gli ebrei negli anni '30 si è scritto molto e in gran dettaglio, mentre i provvedimenti presi contro gli zingari sono stati relativamente ignorati. Eppure gli zingari erano stati oggetto di pregiudizi ad intermittenza e di persecuzioni fin dal loro arrivo in Europa pressappoco nel XIII sec.

3Una proiezione ideale ed integrale del "popolo"; tedesco, cui si ispirarono i movimenti nazionalistici detti "Volkisch";, che da sempre ebbero un rapporto di contiguità, a tratti di rivalità o interdipendenza con il nazismo.

4Ministero degli Interni del Reich


Le prime persecuzioni in Europa
Il re della Danimarca, nel 1589, decretò che ogni leader dei gruppi Rom in terra danese dovesse essere condannato a morte. Nel diciassettesimo secolo, tutti i vascelli che recassero a bordo dei Rom sarebbero stati confiscati. Da allora e fino al 1849, tutti i Rom trovati in Danimarca furono soggetti alla deportazione. E le cacce agli "zingari" furono organizzate con ricompense per coloro che avessero catturato uno.
Anche la Norvegia confiscò tutti i vascelli che recavano a bordo dei Rom. Nel diciannovesimo secolo, la Norvegia approvò una legge che permetteva ai Rom di restare nel paese soltanto se avessero abbandonato il nomadismo. I norvegesi trovarono il modo di vita dei Rom antigienico, e si sentirono in dovere di togliere i bambini "zingari"; dai loro genitori.
Anche la Svezia ha promulgato dure leggi per ostacolare i Rom, tanto che non gli fu permesso di entrare nel paese. Coloro che vi riuscirono furono immediatamente espulsi, oppure furono oggetto di violenze o impiccati. Non solo: tutti i Rom che riuscirono a fuggire in Finlandia furono nuovamente condotti in Svezia, poiché la Finlandia egualmente li rifiutò.
La Francia promulgò una serie di leggi di espulsione che cominciarono nel 1510. Durante il sedicesimo secolo tutti i Rom catturati nel paese venivano frustati. Nel secolo successivo le donne Rom catturate venivano rasate e spedite nelle case di lavoro. Gli uomini furono messi in catene nelle cambuse.
Nell'Inghilterra del sedicesimo secolo ai Rom fu ordinato di partire: gli inglesi li credevano infatti stregoni, ladri e truffatori. Furono apposti dei cartelli nelle campagne che intimavano ai Rom di lasciare il paese. A coloro che restavano furono concessi quaranta giorni per partire: il mancato rispetto di quest'ordine avrebbe significato la morte. Nonostante ciò molti Rom si nascosero nelle campagne. Nel 1562, tutti gli uomini e donne inglesi che avessero mostrato solidarietà con i Rom divennero soggetti a punizioni. Il modo di vita dei Rom fu considerato un crimine, e coloro che vi si accompagnavano o che li imitavano erano colpevoli di questo crimine.
Alcuni paesi europei deportarono Rom nelle loro colonie come manodopera a basso costo. Gli inglesi spedirono molti Rom nelle Barbados, in Australia e in America del Nord. I francesi li spedirono in Louisiana nei primi anni dell'ottocento (programma successivamente abbandonato quando la Louisiana fu venduta agli Stati Uniti). I Portoghesi ne mandarono centinaia in Brasile e gli Spagnoli ne deportarono molti nelle loro colonie sudamericane.
Le leggi repressive erano egualmente comuni. Il nomadismo era vietato in Spagna e parlare di Rom fu proibito. I Rom furono costretti ad abbandonare i loro vestiti tradizionali e non poterono possedere cavalli. Nessuna unione matrimoniale fu consentita fra loro. Non fu loro permesso di concentrarsi in grandi gruppi. Contemporaneamente i Rom che non si conformarono ai costumi spagnoli e non lasciarono il paese furono resi schiavi.
La schiavitù fu una soluzione al "problema zingaro"; anche in altri paesi. A causa della scarsità di manodopera in Wallachia e in Moldavia (attuale Romania), i Rom furono condotti alla servitù della gleba. Sono stati posseduti dai vassalli locali e alcuni persino dal governo. La chiesa non solo tollerò questa pratica, ma addirittura comprò schiavi Rom. Questa pratica si è perpetrata circa fino al 1864.
La Svizzera permise le cacce "zingare" nel sedicesimo secolo, come fece l'Olanda nel diciottesimo secolo. Precedentemente, in Moravia, era permesso tagliare l'orecchio sinistro di tutte le donne Rom che venivano catturate. In Boemia, la rimozione dell'orecchio destro era legale.
In Ungheria i Rom venivano resi schiavi nel quindicesimo secolo. Quando vennero liberati, fu istituito un gran numero di misure restrittive contro di loro, compresa una legge del 1740 che dichiarava che nessun Rom avrebbe potuto svolgere il lavoro di artigiano del metallo fuori dalla propria tenda. Questa legge venne istituita per impedire ai Rom di competere con gli artigiani locali.
Nel 1761, la regina d'Ungheria decise di mutare questi Rom in quello che chiamò i "Nuovi Ungheresi". Vennero forniti loro strumenti per l'agricoltura, semi e animali, anche se non avevano mai dimostrato alcun interesse nell'agricoltura. Il linguaggio Rom venne vietato, venne impedito il commercio di cavalli e il fatto che potessero dormire in tende. Il figlio e successore della regina continuò le politiche di sua madre. Le comunità nomadi furono costrette a stanziarsi, i bambini vennero obbligati a frequentare la scuola e ad andare in chiesa. I Rom adolescenti venivano separati dalle loro famiglie per imparare il commercio, la loro musica venne proibita (tranne in casi di feste speciali). Ma tutte queste misure fallirono ed entro il diciannovesimo secolo i Rom avevano guadagnato una certa libertà.
Alla fine del diciottesimo secolo, la Spagna consigliò ai Rom di abbandonare il loro stile di vita nomade e di integrarsi con il popolo spagnolo. Venne approvata una legge chiamata "Regole per la Repressione e per la Correzione del Nomadismo di altri eccessi, di coloro che sono chiamati zingari". I Rom avrebbero potuto scegliere qualsiasi tipo di lavoro o carriera, ma soltanto se avessero rinunciato al loro stile di vita tradizionale.
Questi pregiudizi non scomparvero dunque neanche con l'Illuminismo, epoca in cui i Rom potevano farsi accettare solo rinunciando alla loro cultura e al loro stile di vita.
Il diciannovesimo secolo, e l'inizio del ventesimo, videro da una parte una minoranza che cercava, a fasi alterne, e con alterni risultati, una via d'integrazione, dall'altra una maggioranza che continuava nella politica di ostracismo e persecuzione.
All'inizio del '900, in Germania e Austria, molti zingari avevano dimore stabili e impieghi regolari, ma ciò non riuscì a sfatare il mito di Rom e Sinti come popolo di truffatori, mendicanti e indovine.
Le credenze popolari riguardo agli zingari nomadi non tenevano in alcun conto la loro particolare struttura famigliare e il carattere specifico dei loro commerci, che richiedevano spostamenti continui.
Già sul finire del diciannovesimo secolo, i governi tedeschi incaricarono a più riprese la polizia di controllare gli zingari. I governi locali dei "Lands"; emanarono leggi ad hoc per scoraggiare la normale tendenza zingara a viaggiare, per ridurre l'accattonaggio e soprattutto contro le pratiche divinatorie, favorendo, tra l'altro, l'espulsione dalla Germania, degli zingari stranieri. Nel 1899, ad esempio, il governo della Bavaria promulgò una legge istitutiva di un particolare gruppo di polizia segreta, di stanza presso la cancelleria di Monaco, per il controllo delle bande zingare, con la raccolta di impronte digitali, alberi genealogici e ogni altro materiale che potesse servire ad arginare la "Peste zingara";.
Nel 1906 il governo centrale dettò alle polizie locali, le linee giuda contro gli zingari. Tutti gli zingari stranieri dovevano essere deportati, gli zingari tedeschi dovevano essere tenuti sotto stretta sorveglianza della polizia, salvo dimostrassero di avere residenza e impiego stabile sul posto. Tutto doveva essere messo in campo per individuare e neutralizzare gli zingari, la polizia doveva far attenzione perfino a come i Rom trattavano i cavalli. L'assistenza sociale doveva segnalare ogni bambino zingaro che apparisse "Trascurato";. Le autorità non dovevano rilasciare a Rom e Sinti, carte d'identità o permessi commerciali dove non fosse strettamente necessario.
Durante la Repubblica di Weimar la repressione poliziesca non si arrestò, anche se agli zingari erano stati garantiti pieni diritti di cittadinanza. Nel 1920, per debellare le attività zingare di accattonaggio e di indovine, il Ministero degli interni prussiano emanò un decreto che impediva a donne e bambini zingari di sostare davanti alle terme, provvedimento che i nazisti estesero poi a tutta la popolazione ebraica.
Nel 1927 il Ministero degli interni ordinò alla polizia di prendere le impronte digitali ad ogni individuo zingaro di età superiore ai sei anni. Dopo aver preso le impronte digitali la polizia doveva rilasciare un particolare certificato che entrava a far parte dei documenti d'identità di ogni zingaro. La sorte della minoranza zingara, che all'epoca contava in Germania dalle 30.000 alle 35.000 unità, era destinata a mutare radicalmente con l'avvento del nazismo.




L'ascesa di Hitler, le premesse del "Porrajmos";
La minoranza zingara, in Germania, come in Austria, era in realtà assai esigua, costituendo, nel 1933, non più dello 0,05 della popolazione del Reich. Anche gli zingari tedeschi si differenziavano in base alla lingua. Ma sebbene il gruppo più numeroso in Europa fosse quello dei Rom, che parlavano la lingua Romani, in Germania e Austria si registrava altresì una più massiccia presenza di Sinti. Ma l'universo zingaro si articolava poi in una galassia di sottogruppi che usavano nomi diversi tra loro, molto dei quali si connotavano per le loro specifiche attività. In Germania, anche prima dell'avvento di Hitler, i Rom dediti al commercio nomade erano chiamati "Lowara"; e si registrava inoltre un'importante presenza di zingari Lalleri, a vario titolo riconducibili al mega gruppo dei Sinti.
Negli anni 30 la maggior parte degli zingari tedeschi avevano residenze e impieghi regolari, anche se il commercio di cavalli e le arti circensi erano considerate attività itineranti. Sulle prime i nazisti si limitarono a ratificare, e magari inasprire i regolamenti vigenti contro gli zingari. Tali regolamenti non facevano che stigmatizzare uno stereotipo basato sulla suddivisione tra zingari nomadi e sedentari. La politica di ostracismo nazista istituzionalizzò questa suddivisione, facendone motivo di esclusione dei nomadi dalla comunità nazionale. Ma il regime aveva scopi più ampi: come abbiamo visto, i suoi capi erano convinti che determinati comportamenti avessero una base ereditaria e quindi commissionarono studi scientifici per classificare i vari gruppi e dimostrare un nesso tra determinati gruppi e l'insorgere di comportamenti antisociali, partendo dal presupposto di un legame diretto tra razza ed evoluzione comportamentale, appartenenza e comportamento degenerato e deviante.
Per quanto riguarda gli zingari, come già per i disabili, importanti esponenti della polizia nazista credevano che l'essere membro di quel determinato gruppo generasse automaticamente criminalità e che quindi, per individuare un individuo come criminale, bastasse classificarlo come zingaro. Ma la classificazione doveva avere rigore scientifico.
Rober Ritter fu lo "scienziato della razza"; scelto per sovrintendere alla classificazione degli zingari. Figlio di un ufficiale di Marina Ritter nacque nel 1901 ad Auchen. Ricevette la sua istruzione secondaria in un Gimnasium di elite di Berlino nell'Accademia Militare Prussiana. Prima di conseguire il diploma nel 1921, combatté con i corpi liberi del dopoguerra sulla frontiera orientale della Germania e partecipò a gruppi giovanili nazionalistici. Come era consuetudine all'epoca, Ritter studiò in varie università, e nel 1927 conseguì il dottorato in psicologia e istruzione presso l'università di Monaco. Proseguendo i suoi studi in psicologia infantile, Ritter giunse alla laurea in medicina e nel 1930 conseguì il dottorato ad Haidenberg. Sempre nel 1930 ottenne l'abilitazione alla professione medica e nel 1934 completò la specializzazione in psicologia infantile. Trascorse il suo periodo di internato negli ospedali di Parigi, Zurigo e Berlino, in qualità di membro dell'equipe medica presso la clinica psichiatrica dell'università di Tubingen, dove ricevette l'abilitation nel 1936. In questi anni Ritter si occupò soprattutto dei problemi concernenti la gioventù antisociale e si affermò nel 1933 con una pubblicazione di uno studio che analizzava dieci generazioni di famiglie considerate fucine di vagabondi e di ladri. Il retroterra, l'istruzione e l'esperienza di Ritter, indicano un forte orientamento nazionalista, così come nei suoi interessi di ricerca si rivelano propensioni "volkish";. Non sembra che Ritter sia entrato a far parte del partito nazista durante il periodo della repubblica di Weimar, né vi è alcuna prova che lo abbia fatto successivamente. Sembra comunque che ebbe un posto da psichiatra dell'infanzia nella gioventù hitleriana. La carriera di Ritter costituisce la prova che almeno una parte del lavoro scientifico che condusse all'ostracismo e all'omicidio di massa, venne condotta dai tedeschi senza stretti legami con il partito. Tra il 1936 e il 1941 Ritter e una piccola equipe di studiosi condussero ricerche eugenetiche nella regione occidentale della Svevia. Ritter indagò sulle storie familiari di vagabondi e truffatori, specie di quelli di razza aliena e sulla loro prole ibrida. Questa ricerca venne finanziata dalla DFG che aveva ricevuto calorose raccomandazioni riguardo l'opera di Ritter da un gruppo di elite comprendente Ernest Rubin, direttore dell'istituto psichiatrico "Kaiser Wihem";, Hans Reiter, capo dell'ufficio della sanità del Reich, e Arthur Gutt e Herbert Linden della cancelleria privata del Fuhrer. Nel 1940 Ritter potè riferire al DFG che la sua ricerca si era ampliata, man mano che la sua equipe indagava su gruppi di popolazioni nomadi e delle regioni meridionali-occidentali della Germania, a un gruppo di popolazione ebraica sottolineando il suo influsso sulla popolazione tedesca attraverso le conseguenze ereditarie dei matrimoni misti.
Nel 1936 Ritter venne posto a capo di un nuovo centro di ricerca biologica sull'eugenetica e sulle popolazioni, che dipendeva direttamente dall'ufficio di sanità del Reich. E da quel momento in poi fu da lì che diresse l'equipe del lavoro di ricerca. Inizialmente diresse il centro di ricerca di Tubingen e nel 1938 si trasferì a Berlino. Nel 1941 Ritter, dato che le ricerche sugli zingari avevano portato all'adozione di misure pratiche nei loro confronti, divenne anche capo dell'istituto Criminalbiologico della polizia di sicurezza che era stato appena costituito. L'istituto si trovava all'interno del quartier generale investigativo destinato a diventare l'ufficio "Evve"; dell'RSA5 .
L'equipe di ricercatori che lavorava al fianco di Ritter comprendeva vari scienziati della razza piuttosto giovani tra i quali, particolare importanza, ebbero Eva Justin, Adolf Wirth e Sophie Hidermart.
Figlia di un funzionario delle ferrovie, Eva Justin nacque nel 1909 a Dresda, dopo aver superato l'esame conclusivo della scuola secondaria, fece apprendistato da infermiera, conobbe Ritter e andò a lavorare nel suo laboratorio eugenetico presso la clinica universitaria di Tubingen. Successivamente seguì Ritter da Tubingen a Berlino e lo aiutò a condurre ricerche sugli zingari. Negli archivi del DFG è registrata come assistente di ricerca richiesta da Ritter. Pur non avendo seguito le varie procedure universitarie per la laurea, conseguì il dottorato di antropologia a Berlino nel 1943. La sua richiesta di candidatura venne appoggiata da Eugene Fiscer e per quanto concerne le referenze elencò tre influenti esponenti del regime come: Hans Ricter, Herbert Linden, Paul Werner. Come dissertazione la Justin presentò il resoconto del lavoro di ricerca svolto sui bambini zingari che, quando la tesi venne pubblicata, prendevano già la via di Auschwitz. Poiché Ritter non aveva un incarico universitario che gli consentisse di esaminare candidati al dottorato, il relatore fu l'etnologo Richard Trounbald, uno dei fondatori della scienza della razza, mentre Fisher e Ritter fecero da correlatori. Wirth entrò nell'equipe di Ritter su segnalazione di Fisher, suo relatore nel dottorato di antropologia nel 1935 e vi rimase fino al 1940 quando fu chiamato alle armi.
Sophie Hidermart, biologa russa, classe 1902 entrò nel gruppo di Ritter a Tubingen e lo seguì in tutte le sue ricerche. Famosi i suoi studi sugli zingari dell'Europa orientale e sugli ebrei del ghetto di Lotz.
La ricerca di Ritter era iniziata con un'indagine eugenetica relativamente modesta, ma per la sua abilitation titolo essenziale per la carriera universitaria. La sua opera venne considerata molto importante per il regime e questo gli valse il sostegno finanziario da parte della DFG6 e l'appoggio da parte degli enti governativi quando la sua equipe divenne centro di ricerca dell'ufficio di sanità del Reich. Poiché oltretutto la sua ricerca era divenuta importante fondamento nell'attuazione di misure contro gli zingari anche RKPA7 e l'RSHA8 di Heinrich si avvalsero del lavoro dell'equipe di Ritter. Le ricerche condotte da Ritter e dei suoi associati era mirata a ricostituire l'albero genealogico di tutti gli zingari e registrare membri di famiglie estese da matrimoni con membri esterni al gruppo guardando alla salute fisica, all'istruzione e alla fedina penale e la posizione sociale di ciascun membro. Ritter giunse alla conclusione che gli zingari erano un gruppo deviante e degenerato e che la devianza, così come il nomadismo, avevano carattere ereditario, anche se la sua ricerca si rivelò una raccolta di dati spesso disorganici.
Lo studio di Ritter, nato come ricerca, rivestì scopi eminentemente pratici, fornendo la cartina di tornasole per l'ostracismo e lo sterminio, fornendo inoltre la griglia per una vera e propria identificazione fisica degli zingari, che, se era facile per i Rom, che avevano la pelle scura, diventava difficile per i Sinti, di pelle chiara.
La classificazione partiva dalla concezione di "Zingaro puro"; per arrivare attraverso stadi successivi, a individuare un soggetto come "Non Zingaro";. Era chiaro come la maggior parte degli individui selezionati ricadesse nella categoria di "Zingari ibridi";, cioè di coloro che, pur non potendo essere considerati "Zingari puri";, avevano, più o meno, sangue zigano nelle vene.
Tutta la popolazione Rom e Sinta, venne quindi catalogata nei registri di polizia con la sigla ZN, zingari. Zn+ se il soggetto in questione risultava avere una gran quantità di sangue zingaro, ZN- se il suo grado di ibridità, quindi di mancata purezza, risultava più o meno elevato. La classificazione poteva essere contestata su querela di parte dell'interessato a proprie spese. Generalmente si eccepiva un dubbio di paternità, allora non c'era la prova del dna. Ma molto spesso le domande venivano respinte o finivano nel dimenticatoio.
Dal 1933 in poi, gli zingari tedeschi furono sottoposti, sulla scorta di quanto avveniva per i disabili, a un'intensa campagna di sterilizzazione che continuò, a fasi alterne, fino alla fine della guerra. A settanta anni di distanza, non è dato sapere il numero esatto degli zingari sterilizzati, anche perché le operazioni contro gli zingari, come già quelle contro i disabili, si svolsero in gran segreto e comunque non vi furono mai, da parte dei nazisti, leggi o circolari specifiche di ostracismo contro gli zingari. Il terzo Reich si limitò a porre nuova linfa nei regolamenti già esistenti contro i nomadi, soprattutto in tema di espulsione e di controllo. Il problema zingaro fu sempre affrontato come "lotta alla criminalità e agli atteggiamenti antisociali";. Per arginare il divieto di sterilizzazione di massa, inoltre, molti zingari, specie di giovane età, vennero catalogati come frenastenici ed internati in ospedali e case di cura del Reich. Ma il regime pensava già a soluzioni più radicali. In effetti ci fu pure il tentativo di porre mano a una legge antizingari, con il famigerato rapporto Zindel, redatto nel gennaio del '36 dal consigliere anziano del Ministero dell'interno, ma poi gli eventi anticiparono e in parte dissuasero i legulei nazisti che, nel giugno dello stesso anno estesero il regolamento prussiano contro gli zingari, del 1926, a tutti i territori del Reich.
Nel rapporto Zindel si leggono già le linee guida che porteranno alla soluzione finale della "peste zingara";.
Valutata l'assoluta impossibilità d'integrazione per gli zingari, Zindel suggerisce, come prima soluzione, l'internamento in luoghi specificamente attrezzati; come seconda opzione, invece, la deportazione coatta, come terza, conclude Zindel, non rimane che l'opzione della sorveglianza speciale sul Territorio, con l'arresto degli zingari pericolosi e l'internamento in campi di concentramento.
Prima della "Soluzione finale";, la politica di ostracismo contro gli zingari seguì i canoni classici già adottati per i disabili: sterilizzazione, riduzione dell'assistenza, internamento.
Nel 1934/35 vennero costruiti campi municipali per controllare gli zingari in transito su carrozze, ma la presenza dei campi era vissuta come motivo di disturbo della quiete pubblica e le autorità locali, soprattutto responsabili dell'assistenza pubblica, inoltrarono non poche proteste formali al governo centrale. Il primo campo zingari, costruito interamente dal governo, fu aperto a Colonia nel 1935. Attrezzato per accogliere 300 persone, ne conteneva più del doppio già nel 1937. Le condizioni di vita erano assolutamente primitive, il campo era delimitato da filo spinato e presidiato da guardie armate. Gli zingari potevano uscire al mattino per andare al lavoro e dovevano rientrare la sera. Le guardie del campo compivano frequenti retate per controllare le carte d'identità. Agli zingari internati era fatto obbligo di lasciare immediatamente le loro carrozze mobili, praticamente le loro case, e venivano alloggiati in baracche.
Sull'esempio di Colonia vennero via via allestiti altri campi in tutte le principali città tedesche, le loro strutture, sia interne che esterne, somigliavano più a ghetti che a veri e propri campi di concentramento, ma le condizioni di vita diventavano sempre più severe e precarie. A Dussendorf ad esempio, i parenti non zingari degli internati non potevano entrare nel campo, né parlare dal filo spinato. Vi erano internati anche gli zingari che vantavano un domicilio fisso e che godevano dell'assistenza pubblica.
Il più grande campo zingari tedesco fu costruito in una discarica della periferia berlinese di Marzan, dopo un'operazione su larga scala, con rastrellamenti a tappeto alla vigilia delle olimpiadi di Berlino del 1936. La polizia di Berlino arrestò più di seicento zingari e li guidò coattivamente verso il campo, una struttura con due bagni e due sole pompe per l'acqua.
Il campo di Berlino-Marzan era presidiato da un contingente di polizia metropolitana e le condizioni di vita apparvero sempre più disumane. Nel 1938 vi furono riscontrati 230 casi di malattie contagiose.
Un vero e proprio giro di vite si registrò comunque nel 1937, con la creazione dell'Associazione degli zingari del Reich Germanico e subito dopo l'annessione dell'Austria ai territori del Reich. Un regolamento del Ministero dell'Interno legalizzò inoltre la pratica dell'arresto preventivo: un individuo poteva essere fermato e arrestato per il solo fatto di essere zingaro.
In Austria vennero costruiti i più grossi campi zingari di tutto il Reich, tra cui quello di Marzrland, Salisburgo, Lanchembach e Burgerland. I campi austriaci furono fin dall'inizio coercitivi e somigliavano più ai campi di lavoro che di lì a poco sarebbero stati costruiti all'Est, che non ai campi ghetto che abbiamo trovato in Germania.
Il governo federale di Salisburgo costruì il campo nel 1939 per impedire che gli zingari entrassero in Germania dalle regioni meridionali e anzi per sospingerli coattivamente verso il Tirolo. Nel campo di Salisburgo, gli zingari erano soggetti ai lavori forzati e potevano uscire solo per assolvere ad impieghi pubblici. I maschi venivano impiegati in lavori edili e le donne lavoravano all'interno del campo. Ma erano anche manodopera e cavie disponibili per qualsiasi tipo di esperimento (compreso comparse per il cinema tedesco). Nei campi austriaci, inoltre, non erano assolutamente ammessi i caravan e gli internati erano alloggiati in baracche. Il campo più grande fu comunque quello di Lockembach: costruito nel 1940 per ospitare gli zingari delle regioni meridionali, finì per ospitare anche zingari da altre aree, fino a contare più di 3.000 zingari internati. La struttura del campo ricordava in tutto e per tutto i successivi lager. Il comandante del campo impiegò personale interno per mantenere l'ordine, i famigerati kapo, e comminò pene corporali per i trasgressori. Il lager fu attivo fino alla Liberazione, ma pochi degli internati vissero fino a vedere quel giorno.
Intanto gli zingari continuavano ad essere sterilizzati, ostracizzati e deportati nei campi di concentramento, come criminali comuni e abituali, soprattutto a Dachau e Ravembruck. Del "problema zingaro"; continuava ad occuparsi la sezione speciale della kripo insieme all'Istituto criminalbiologico dell'équipe di Robert Ritter. Ma i nazisti invocavano soluzioni più radicali, la guerra era dietro l'angolo, il "Porrajmos, l'olocausto zingaro, sempre più vicino.

5Ufficio centrale per la sicurezza del Reich
6Fondazione per la Ricerca tedesca. L'ente governativo per l'erogazione dei fondi.
7Ufficio centrale della polizia giudiziaria del Reich
8Ufficio centrale per la sicurezza del Reich




La soluzione finale per gli zingari
Con lo scoppio della Guerra, il primo settembre 1939, i nazisti diedero inizio alla soluzione finale, dopo aver sondato diverse soluzioni anche fantasiose, come l'ipotesi di deportare tutti gli ebrei e gli individui indesiderati in Madagascar.
La prima deportazione in massa di zingari, come si desume da una lettera di risposta di Adolf Eichmann indirizzata a Reinhard Heyndrich, avvenne nel maggio del 1940 verso il campo polacco di Nizko. Gli zingari rastrellati furono 2800, convogliati nel centro di raccolta di Hoenhaspoerg, vennero selezionati dall'antropologo dell'équipe di Ritter, Arthur Wirth che ne scartò 22 impropriamente individuati come zingari. Questo fu l'unico errore documentale nella deportazione degli zingari e si presume che quelli trasportati a Nizko venissero fucilati subito dopo l'arrivo al campo.
Agli zingari deportati furono concessi soltanto venti chili di bagagli personali; dovettero abbandonare i gioielli, eccetto le fedi nuziali, e poterono disporre solo di dieci marchi tedeschi in moneta. Le deportazioni subirono un arresto fino al 22 giugno del 1941, data di invasione dell'unione Sovietica. Il 16 dicembre 1942 Heinrich Himmler diede ordine di deportare tutti gli zingari tedeschi e quelli dei territori occupati nel campo di Auchwitz-Birchenau.
Il primo convoglio arrivò a Birchenau attorno al 26 febbraio 1943 mentre le deportazioni dei territori occupati iniziarono intorno al 7 febbraio dello stesso anno. Il campo di Auchwitz-Birchenau aveva una sezione specifica per gli zingari, denominata "zigeneur lager";, che finì per diventare un vero e proprio campo-zingari, noto ai deportati con la sigla BIIe. Era un vero e proprio campo per famiglie, nel senso che i nuclei familiari non venivano divisi e quindi si potevano supporre migliori condizioni di vita, ma il destino degli zingari di BIIe non era assolutamente diverso da quello degli altri deportati di Auschwitz.
Il campo-zingari di Auschwitz fu inoltre teatro degli esperimenti sui gemelli da parte del dottor Mengele, il dottor morte, che selezionò anche duecento zingari Lalleri9 , considerati come esponenti di quella razza zingara pura che i tedeschi intendevano preservare come cimelio di un gruppo etnico estinto.
Nello Zigeunerlager i prigionieri vivevano in condizioni particolari: separati dagli altri prigionieri, gli zingari non erano sottoposti alla selezione iniziale - anche se si sa di alcuni convogli neanche registrati e mandati immediatamente nelle camere a gas-, ma, tatuati e rasati a zero, subito destinati alle loro baracche dove rimanevano con le loro famiglie. Poi nessuno si preoccupava di loro: non avevano l'appello mattutino, non facevano parte dei gruppi di lavoro, le donne potevano addirittura partorire. Una condizione che potrebbe persino sembrare di privilegio, se non fosse che l'abbandono e il disinteresse verso questi internati da parte delle autorità di Auschwitz sottintendeva, in realtà, il loro destino di morte. Per questo gli zingari venivano abbandonati, in condizioni agghiaccianti: la mancanza di cibo, il freddo, le malattie rendevano difficilissima la sopravvivenza. Hermann Langbein, allora medico nell'infermeria del lager, ricorda di aver registrato che l'indice di mortalità dello Zigeunerlager risultava molto più alto che nel resto di Auschwitz. Per questo vi si recò e trovò condizioni orrende: bambini colpiti da una terribile malattia della pelle, causata dalla denutrizione -il noma - uomini e donne moribondi, in stato di abbandono totale, stipati in baracche gelide e senza spazio per muoversi. Langbein ricorda che la sentinella polacca lo condusse anche nel blocco dove stavano le donne in attesa di partorire:
Su un pagliericcio giacciono sei bambini che hanno pochi giorni di vita. Che aspetto hanno! Le membra sono secche e il ventre è gonfio. Nelle brande lì accanto ci sono le madri; occhi esausti e ardenti di febbre. Una canta piano una ninna nanna: "A quella va meglio che a tutte, ha perso la ragione" [...] L'infermiere polacco che ho conosciuto a suo tempo nel lager principale mi porta fuori dalla baracca. Al muro sul retro è annessa una baracchetta di legno che lui apre: è la stanza dei cadaveri. Ho già visto molti cadaveri nel campo di concentramento. Ma qui mi ritraggo spaventato. Una montagna di corpi alta piú di due metri. Quasi tutti bambini, neonati, adolescenti. In cima scorrazzano i topi.
Alla fine, quindi, anche le condizioni particolari dello Zigeunerlager si rivelano per quello che sono, la realtà di un campo di sterminio nazista.
Non si conoscono con precisione le ragioni di questo trattamento particolare. Poco dopo la costruzione dello Zigeunerlager, l'ufficio V dell'Rsha, precisa che solo "per il momento" gli zingari vanno tenuti separati dagli altri prigionieri, per essere poi sottoposti allo stesso trattamento riservato agli ebrei. Si possono fare delle ipotesi tra le quali la più accreditata è che si trattasse di un progetto di sperimentazione - analogamente al caso del lager per famiglie del ghetto di Theresienstadt - per capire cosa si potesse fare di altri gruppi razzialmente simili qualora fosse continuata l'occupazione tedesca. Tale ipotesi è anche suffragata dal fatto che, come abbiamo visto, gli zingari di Auschwitz erano tra le principali vittime degli esperimenti medici e di sterilizzazione. Altre supposizioni che sono state fatte: il campo serviva a mantenere negli zingari l'illusione della sopravvivenza e ad evitare, così, ribellioni; venivano tenuti lontani dagli altri prigionieri che non volevano gli zingari; le vicende della guerra avevano lasciato aperto il problema; le camere a gas erano sempre impegnate nell'eliminazione degli ebrei. La Novitch suppone che gli zingari fossero lasciati in vita a beneficio di eventuali ispezioni della Croce rossa nel lager e anche perché il loro sterminio coinvolgeva molti zingari assimilati i cui congiunti erano ancora liberi. In ogni caso, tutti questi fatti descrivono più le conseguenze che le cause della deportazione. Il loro destino di morte non può essere messo in dubbio.
La storia dello Zigeunerlager termina la notte tra il 31 luglio e il 1° agosto 1944, quando tutti gli zingari ancora in vita vengono uccisi nelle camere a gas e poi bruciati nei forni crematori. Erano oltre 3.000 persone, forse anche 4.000. Anche i motivi dell'ordine di annientamento non si conoscono. Ma, anche in questo caso, si possono fare delle supposizioni: la fine del lager BIIe avviene quando è registrato l'arrivo di un grosso convoglio di ebrei ungheresi abili al lavoro; il fronte russo si avvicina e l'apparato di sterminio viene potenziato al massimo; i convogli arrivano soprattutto ad Auschwitz, ma insieme avanzano gli alleati. Insomma, la fine dello Zigeunerlager viene probabilmente decisa quando alla teoria razziale si sovrappone la prassi inclemente della guerra e i nazisti necessitano del massimo di manodopera, ma vogliono contemporaneamente arrivare alla "soluzione finale" nel più breve tempo possibile.
Non si sa esattamente nemmeno chi abbia dato l'ordine dello sterminio: Höss, comandante di Auschwitz, dice di averlo ricevuto da Himmler dopo una visita del Reichsführer delle Ss nel campo, ma le date non coincidono. È molto probabile che sia stato Höss stesso a decretarne la fine, ovviamente in accordo con le alte gerarchie del Reich.
Le selezioni iniziarono nell'aprile del 1944 (alcuni zingari abili al lavoro vennero mandati a Ravensbrück, Buchenwald e Flossenberg) e continuarono fino al giorno prima della gasazione finale.
Alle 20 del 31 luglio gli zingari vennero caricati su camion e trasportati nelle camere a gas: nessuno si salvò, in quella terribile notte. Racconta un medico ebreo prigioniero ad Auschwitz:
L'ora dell'annientamento è suonata anche per i 4.500 detenuti del campo zingaro. La procedura è stata la stessa applicata per il campo ceco. Prima di tutto divieto di uscire dalle baracche. Poi le Ss e i cani poliziotto hanno cacciato gli zingari dalle baracche e li hanno fatti allineare. Hanno distribuito a ciascuno le razioni di pane e i salamini. Una razione per tre giorni. Hanno detto loro che li portavano in un altro campo [...] Il blocco degli zingari sempre così rumoroso, s'è fatto muto e deserto. Si ode solo il fruscio dei fili spinati e porte e finestre lasciate aperte che sbattono di continuo.
Molti dei sopravvissuti ad Auschwitz ricordano quella notte con parole di angoscia terribile, e, in particolare, si soffermano sulla descrizione agghiacciante della ribellione degli zingari al loro terribile destino: "Le Ss - scrive Langbein - dovettero fare uso di tutta la loro brutalità. Alcuni, che cercavano di far salire gli zingari sui carri, non ci riuscirono". Langbein riporta anche la testimonianza dell'infermiera Steinberg che, pochi mesi prima, aveva ricevuto istruzioni per la compilazione di un elenco di tutti gli zingari ancora nel blocco: "Udimmo urla [...] Il tutto durò parecchie ore. Ad un certo punto venne da me un ufficiale delle Ss che non conoscevo a dettarmi una lettera che diceva "Trattamento speciale eseguito". Quando si fece giorno nel campo non era rimasto un solo zingaro".
Ma la testimonianza più preziosa, in tempi di revisionismi e negazioni della storia, risulta quella di Höss, comandante di Auschwitz, preziosa perché diventa ammissione di fatti proprio da parte di un nazista: "Non fu facile mandarli alle camere a gas. Personalmente non vi assistetti, ma Schwarzhuber mi disse che, fino ad allora, nessuna operazione di sterminio era stata così difficile".
Nel gennaio del 1945 gli zingari rimasti ad Auschwitz erano pochissimi: all'appello del 17 gennaio risposero solo quattro uomini.
L'olocausto zingaro aveva fatto oltre 500.000 vittime. Ma Rom e Sinti subirono inaudite violenze anche nei territori occupato dai nazisti, soprattutto ad opera delle truppe di appoggio degli Ustascia, croati di Ante Pavelic e dei collaborazionisti cecoslovacchi dei nazisti.
Il "Porrajmos"; conta anche vittime e testimoni italiani come il partigiano Taro, uno zingaro sinto pluridecorato con la medaglia d'argento al valor militare. Nato nel 1927, Amilcare Debar aderì giovanissimo alle brigate Garibaldi, assumendo il nome di battaglia di Taro. Rastrellato dai nazisti nel 1944, fu deportato a Mathausen ed Auschwitz e liberato dagli Alleati nel 1945. Attualmente egli vive nel campo nomadi di Cuneo.

Ma l'elenco dei testimoni italiani non si ferma qui, come dimostrano, tra l'altro, le testimonianze riportate di seguito, tratte dal libro Zigeneur.

9I Lalleri erano un sottogruppo di zingari tedeschi ascrivibile alla più grande etnia dei Sinti




Testimonianze10 :
Alija Halilovic (leader della comunità Rom americana)


Quella di Alija Halilovich è una testimonianza mancata, un tassello disperso in questo percorso della memoria. La sua voce si è persa la mattina del tredici gennaio '95 nel rogo della roulotte in cui viveva a Roma, nel "campo" di via Rapolla, a Quarto Miglio.
Da bambino Alija sfuggi miracolosamente alla deportazione nei campi di sterminio dalla Jugoslavia. Il nonno ebbe minor fortuna e trovò la morte nel fuoco dei crematori nazisti.


Intervista a Celeste Spada Casamonica (deportata ad Auschwitz)

Domanda Come ti chiami?
Risposta Spada Celeste Erminia, nata ad Aquino l'undici ottobre 1914.
D Dove vivevi prima della guerra?
R Stavamo ad Aquino con tutta la famiglia, eravamo cinque fratelli e quattro sorelle, mio padre e mia madre, in una casa, c'erano altre quattro o cinque famiglie di zingari che vivevano lì. Poi siamo scappati perché i fascisti cercavano gli zingari.
D Quando e successo?
R Prima della guerra.
D Prima dell' armistizio?
R Era l'estate del 1943, avevo Antonio piccolo. Lui è nato il 4 agosto.
D Dove siete scappati?
R Siamo andati a Supino, vicino a Frosinone, e ci siamo accampati vicino una casetta di un contadino. Lì c'erano due famiglie, con due donne. Un giorno vengono queste donne e dicono: "Correte, correte" e noi ci siamo messi a scappare, e una di queste donne dice: "Stanno a ammazzà, stanno a ammazzà" io scappavo, ho visto mio fratello che andava giù e gli sono andata appresso. Vado a vedere e vedo mio fratello morto dentro un fosso. Stava a faccia per terra, io l'ho chiamato e ho detto: "Che è successo?", non mi ha risposto, allora l'ho rigirato e gli ho detto "Che hai fatto fraté?", lui m'ha riguardato e m'ha spirato.
Allora io l'ho preso da quella fossa, l'ho alzato piano a piano, l'ho messo sopra al fosso, l'ho abbracciato, tutto insanguinato. C'era una salita alta l'ho preso, l'ho abbracciato, non so la forza dove l'ho presa, ero secca secca, e l'ho portato in cima alla salita. Quando sono arrivata lassù sono arrivati gli altri, e la moglie, e l'abbiamo messo per terra. Verso mezzanotte, l'avevo aggiustato, me l'ero messo in mezzo al letto, in mezzo a me a dormire, c'avevo tutti i ragazzini, me l'ho messo dentro al letto a dormì vicino a me. Tutta la notte non ho dormito niente, e te vengono i tedeschi. con i carri armati. Aprono la porta ed entrano dentro. Gli ho detto: "Senta c'è uno morto qua, ci hanno ammazzato un ragazzo". E loro: "Ah oramai...non è niente", ci hanno messo tutte le bestie, tutti i cavalli hanno messo li dentro; tutti sono scappati gli altri zingari, si mettevano paura, io sola sono rimasta vicino a mio fratello, con tutti quelli cavalli, abbracciata a mio fratello, così.
D E poi dove vi hanno portato?
R E poi noi a mattina abbiamo seppellito mio fratello e siamo andati a Ripa. A Ripa m'è morto il figlio per la grande paura, era il figlio di tre anni, Guerrino. Quando siamo arrivati là dice: "Mamma, mò me moro". Gli ho detto: "Non avé paura, non è niente", e lo porto dal dottore. Il dottore dice "Figlia mia, non c'è niente da fare".
Mi dice: "Mamma, voglio un arancio". E io: "Ndo' lo vado a prende a mamma tua un arancio, non se trova"; che in tempo di guerra si trovava 'sta roba?
Viene un tedesco, col frustino, dà una frustata a mio marito e gli fa tutto un taglio in petto. C'era mio cognato e mio marito, gli ho detto: "Nascondetevi che ci ammazzano pure a noi". S'è preso e siamo andati via. Come siamo arrivati laggiù m'è morto il bambino in braccio, stavamo dentro a una casa cantoniera...
D Sempre accompagnati dai tedeschi?
R Si, stavamo accompagnati li sotto, c'erano i tedeschi ma però non erano cattivi, dico la verità, erano gli altri che erano cattivi, quelli erano comandanti, erano gli altri...
D Quelli italiani erano cattivi?
R Sì, quelli italiani, quelli dovevano "morì accise", quelli che hanno fatto tutto...
D E cosa è successo dopo?
R Siamo rimasti lì per un po' di tempo, poi siamo andati a Viterbo, che c'era una grande fiera, che andavamo tutti gli anni.
D Di che periodo era questa fiera?
R Di settembre, dopo che siamo scappati da Frosinone. La mattina ci siamo alzati e sono venuti tre o quattro camioncini militari.
D Chi erano, fascisti o tedeschi?
R Questi erano i fascisti, parlavano italiano, portavano la camicia nera...
D Cercavano gli zingari?
R Si solo a noi, ci hanno detto: "Dovete da salire tutti su questi camion", ci
hanno preso e ci hanno portati tutti a un piccolo paesetto vicino a Viterbo,
Pieve si chiama, a venti chilometri da Viterbo, e li ci hanno lasciato per
cinque mesi...
D E vi hanno chiusi da qualche parte?
R No, ci hanno dato una casa e ci tenevano lì...
D E vi tenevano sotto controllo?
R Si, sotto controllo, non ci potevamo muovere...
D Solo i Rom?
R Si, solo noi zingari.
D Erano armati?
R Si, c'era una Jeep.
D Quanti eravate?
R Cinque o sei famiglie, tutti noi Spada.
D Quando vi hanno liberato?
R Quando so' arrivati gli americani.

Krajina Hrustic

D Come ti chiami e quando sei nato?
R Mi chiamo Krajina Hrustic e sono nato il 15/ 5/ 1927.
D Quanti anni avevi quando ti hanno preso?
R Avevo dodici o tredici anni quando mi presero a Vlasenica, in Bosnia.
D Chi venne a prenderti?
R I soldati.
D Era di giorno o di notte?
R Alle otto di mattina.
D Quando sono venuti a prendervi è stato ucciso qualcuno?
R No.
D Cosa vi hanno detto?
R Ci hanno promesso le case, ci hanno pomesso le terre, di darci lavoro e di farci sistemare.
D Dove vi hanno portato?
R Ci hanno portato a Zvornik, una piccola città vicino a Vlasenica.
D Cosa c'era a Zvornik?
R Un posto grandissimo, dove stavano i Rom di tutte le città vicine, circa tre-quattrocento persone, uomini donne e bambini.
D E dopo dove vi hanno portato?
R Grazie all'intervento di un signore, un certo Serkjia, siamo tornati a Vlasenica, alla nostra città. Poi siamo scappati con tutte le nostre famiglie e siamo andati a Tuzla. Allora i militari hanno preso tutti gli uomini dai tredici anni in su e ci hanno portati ad Osijek. Eravamo tutti in una baracca grandissima, dove siamo rimasti due mesi. Poi sono venuti i tedeschi. Alcuni sono stati portati in Germania, alcuni non sappiamo dove, altri sono rimasti là. Io sono riuscito a scappare e sono andato a Doboj, una città vicino a Sarajevo, ma sono stato preso di nuovo, riportato ad Osijek, e di lì in Germania.
D Dove esattamente?
R In un campo di concentramento dove c'erano tantissimi uomini, zingari e non. Non c'erano invece ebrei con noi. Il campo era vicino a Dresden e a Kapen.
D Quanto tempo sei rimasto lì?
R Sette – otto mesi.
D E cosa ti facevano fare?
R Ci davano da mangiare bene, tre volte al giorno. Venivano a prenderci con i camion e ci portavano a lavorare, a costruire le ferrovie. Poi ci facevano fare la ginnastica per farci militari tedeschi. Ci hanno preso per questo. Volevano farci fare i soldati.
D Dopo questo periodo cosa è successo?
R Io suonavo per i tedeschi il violino con un mio amico che suonava il mandolino, e cantavamo per loro. Poi sono arrivati i russi e gli americani e ci hanno liberati.
D Come hai fatto a ritornare?
R Siamo rimasti altri due mesi perché bisognava ricostruire le ferrovie. Il viaggio è durato mesi perché per procedere bisognava riparare i binari. Gli americani ci hanno portato dagli Jugoslavi, ed io sono tornato a Doboj.
D E la tua famiglia dove l'hai ritrovata?
R Alcuni erano a Sarajevo, altri in un piccolo paese vicino, altri a Vlasenica.
D Quanto tempo era passato da quando ti avevano preso?
R Tre anni, avevo ormai 17 anni.
D In questi tre anni erano solo uomini i compagni di prigionia?
R Le donne erano separate da noi, in altri campi.
D Dei Rom di Vlasenica quanti ne sono tornati dalla deportazione?
R Quando sono tornato ho chiesto della mia famiglia, alcuni per fortuna erano vivi, alcuni feriti, moltissimi morti.
D Cosa avete saputo di quelli che erano morti?
R Non abbiamo saputo niente, solo che non sono tornati.

10Le testimonianze sono state accluse per gentile concessione dell'Opera Nomadi di Roma, raccolta da Massimo Converso e Fabio Iacomini dell'Opera Nomadi di Roma in occasione della "Giornata della Memoria 2002";.



Bibliografia
•Friedlander Henry: "Le origini del genocidio nazista", Roma, Editori Riuniti, 1997
•Lallo Angelo, Torresini Lorenzo: "Psichiatria e nazismo", Venezia Ediciclo editore, 2001
•Picciotto-Fargion Liliana: "Il libro della memoria, gli ebrei deportati d'Italia (1943/1945)", Milano, Mursia, 1991
•Zuccotti Susan: "L' olocausto in Italia", prefazione di Furio Colombo, Milano, TEA, 1995
•Consoli Massimo: "Omocausto";, Milano, Kaos, 1971
•Boursier Giovanna: "Zigeneur, lo sterminio dimenticato";, Roma, Sinnos, 1996
•Hoess Rudolf: Comandante ad Auschwitz, Torino Einaudi, 1960
•C. Bernadac: Sterminateli! Adolf Hitler contro i nomadi d'Europa, La Spezia Fratelli Melita 1991



In rete
http://www.operanomadi.it

http://www.deportazione.too.it

http://217.136.252.147/webpub/eurolang/pajenn.asp?ID=4030

http://www.enar-eu.org/en/brnews/index.php#germgyp

la memoria inutile di Barbara Spinelli

Editoriali
La memoria inutile di BARBARA SPINELLI
La memoria, che in Italia non è mai diventata musica di fondo della politica
come nelle nazioni che con tenacia hanno lavorato sul proprio passato
(parliamo in modo speciale della Germania, ma l’esame di coscienza fu
approfondito anche in Sud Africa, unendo la sete di verità al bisogno di
riconciliazione), è raramente trattata, dalla nostra classe dirigente, come
qualcosa che aiuta a capire perché un male è nato, perché si perpetua
mutando le forme, perché i rimedi non l’hanno curato ma anzi aggravato. La
memoria in Italia rischiara poco il passato e per nulla il presente: è una
memoria ancillare, e quasi sempre emiplegica. Ancillare, perché asservita a
questa o quella forza politica oltre che a effimere contingenze.
Emiplegica, perché chi la strumentalizza fa salire in superficie solo i
frammenti di passato che gli permettono di evitare, e tradire, l’esame di
coscienza.

Come nel malato emiplegico, una parte della memoria storica resta immersa in
un sonno scuro che consente ai ricordi di restare selettivi e che impedisce
il giudizio storico. Verso la storia, parecchi politici e giornalisti hanno
uno strano atteggiamento: da una parte ammettono che non possono scriverla
loro, essendo troppo coinvolti nel presente. Dall’altra pretendono di dirla
in prima persona, fingendo olimpiche distanze che non possiedono. Il
direttore del Tg1, nel celebrare i dieci anni della morte di Craxi, accampa
precisamente tale pretesa: «È arrivato il momento ( parola censurata
dall'Amministratore ) dice ( parola censurata dall'Amministratore ) di
guardare alle vicende di Craxi con gli occhi della storia».

Il ricordo degli anni di Bettino Craxi non è l’unico esempio di memoria
tradita. Anche il terrorismo italiano è ricordato con metodi poco corretti,
anche la storia del fascismo o di Salò. A partire dal momento in cui la
memoria è maneggiata alla stregua di domestica, quel che finisce col
prevalere è una visione dei mali italiani radicalmente distorta. Il male che
la coscienza impone di esaminare non fu un male in sé: in fondo, lo divenne
perché vinto dalla Storia. In molti casi fu perfino nobile, non meno del suo
avversario. Il conflitto non è fra ragione e torto, fra giustizia e crimine,
ma fra chi ha vinto e chi ha perso. In Italia si è ragionato così su Salò, e
anche sul terrorismo. Prima di rientrare da Parigi a Roma per presentarsi
alla giustizia, Toni Negri sostenne che il terrorismo era «superato perché
vinto», e per questo non era più «di attualità». La lotta armata di per sé
non era condannabile.

Lo stesso accade per la memoria di Craxi. La sua battaglia politica è
considerata grande e bella, se non fosse per Mani Pulite che gli strappò la
vittoria e macchiò questa compatta bellezza. Ovvio, in queste condizioni,
che le colpe siano tutte esterne al soggetto («L’inferno, sono gli altri»,
dice Sartre) come spesso succede nella memoria dei vinti che non guardano
dentro di sé, perché inebriati dall’esperienza della vittima. La memoria
selettiva e ancillare ci restituisce in tal modo un Craxi grande statista,
soprattutto un modernizzatore, il cui nobile progetto fallì a causa,
essenzialmente, dei magistrati. Per riscoprirlo è raccomandato non solo di
separare la politica dai fatti di corruzione, ma di estromettere i fatti di
corruzione lasciando che resti, del leader, solo la luce. Le inchieste
giudiziarie cadono nelle ombre del corpo politico emiplegico. Nietzsche
parlava di memoria antiquaria, che ammobilia «con pietà o furia
collezionista» un nido familiare chiuso, impenetrabile dall’esterno,
conservatore del passato.

Altra cosa la memoria critica, che guarisce trasformandoci: memoria
faticosa, perché gli uomini tendono a «darsi un passato da cui si vorrebbe
derivare, in contrasto con quello da cui si deriva».

Senza dubbio il leader socialista fu un politico con encomiabili progetti
iniziali: unificare le sinistre, rafforzando la componente socialista dell’unione
e banalizzando, alla maniera di Mitterrand, l’ingresso dei comunisti nel
governo; liberare sinistre e sindacati da formule errate come la scala
mobile; legare il Psi al dissenso nei paesi comunisti. La sua opera di
modernizzatore fu, secondo molti, la sua più grande virtù. Modernizzazione
che tuttavia riuscì solo in parte. Che fu a un certo punto abbandonata,
autonomamente. Che si spezzò non solo perché fortemente avversata dai
comunisti ma perché Craxi smise di volerla, prepararla, attuarla.

L’azione di Craxi fu in realtà un singolarissimo impasto di intuizioni
giuste e coraggiose, di spregio profondo della politica, di intreccio tra
politica e mondo degli affari, di uso spregiudicato di mezzi finanziari
illeciti. La corruzione non fu un dettaglio inessenziale di tale azione ma
un suo torbido elemento costitutivo. Era moderno il politico che si crea
spazi di potere con l’aiuto di potentati economici, e in cuor suo ritiene
inefficace la via virtuosa. Il motto degli esordi craxiani fu: primum
vivere, prima di tutto urge vivere e sopravvivere. In un’intervista a
Eugenio Scalfari, il 3-5-90 su Repubblica, Craxi non nasconde la crisi
abissale della democrazia e dei partiti: la società italiana si era
irrobustita per conto proprio, dice, mentre il ceto politico era restato una
chiusa corporazione, incapace di rinnovarsi. E a Scalfari che gli chiede
perché, Craxi replica: «Non ci sono più ideali, si gestiscono interessi».

In fondo non sono diversi i due discorsi tenuti alla Camera durante Mani
Pulite, il 3 luglio ’92 e il 9 aprile ’93. Due discorsi che descrivono la
corruzione di un intero sistema politico. Questo dice la chiamata di correo
del ’92: «Tutti sanno che buona parte del finanziamento politico è
irregolare o illegale.(...) Non credo che ci sia nessuno in quest’aula (...)
che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto
affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo
spergiuro». Nessuno si alzò, e l’atto mancato resta la vergogna dei politici
e di una classe dirigente. Una vergogna che in assenza di memoria critica s’è
estesa. A Scalfari, Craxi aveva detto: «Non ci sono più ideali, si
gestiscono interessi». Oggi, gli interessi particolari sono diventati ideali
e il loro conflitto con la politica una cosa normale per tanti.

La modernizzazione di Craxi fallì dunque molto prima di Mani Pulite, a causa
del malaffare in cui i partiti, compreso il suo, nuotavano. Fallì perché il
Pci si oppose per anni all’alternanza, preferendo compromessi con la Dc che
preservavano lo status quo. Fallì per l’immobilità in cui Craxi stesso
sprofondò: il primum vivere divenne brama del vivere per vivere, di
arraffare frammenti del presente e del potere, di non progettare più nulla.

Il socialismo italiano naufragò per colpa dei socialisti, non dei
magistrati: e naufragò perché più di altri aveva suscitato sì vaste attese.

Perfino alcuni successi del capo socialista andrebbero narrati in maniera
meno edulcorata, censurata. Sigonella non fu un atto di autonomia verso l’America,
ma la misera messa in libertà d’un gruppo terrorista (i palestinesi di Abu
Abbas) che aveva ucciso proditoriamente, sull’Achille Lauro, un anziano
americano in sedia a rotelle, Leon Klinghoffer, solo perché ebreo. Anche in
economia Craxi non fu modernizzatore. Lo spiega bene Salvatore Bragantini,
sul Corriere del 14 gennaio: sotto la guida sua e dei successori «il nostro
debito pubblico è volato dal 60% al 120% del Pil; (...). Nell’escalation del
debito ebbe il suo bel peso l’aumento dei costi delle opere pubbliche dovuto
alle tangenti, scoperte grazie a Mani Pulite».

Oggi, censurare tanta parte del passato è utile soprattutto a Berlusconi e
alla sua offensiva contro la giustizia. Se il duello è tra vincitori e
vinti, e non tra buongoverno e governo corruttibile, si tratta di
contrattaccare e vincere finalmente la guerra. Oggi ci si difenderà dai
processi, ma restando al potere anziché fuggendo come latitanti. Stefania
Craxi lo ha detto chiaramente, il 3 gennaio alla televisione: «La storia di
Craxi si ripete con Berlusconi. Gli italiani allora non credettero a Craxi,
ma a Berlusconi, oggi, credono». A questo serve la politica della memoria in
Italia: a perpetuare la melma in cui ci troviamo, senza mai cominciare l’esame
di coscienza che da essa ci libererebbe.


La stampa 24 gennaio 2010